Il focus
Il Piano Casa prova a correre ma tra fondi esigui e terreni scarsi: la sfida è ardua
Il modello è quello di Fanfani del Dopoguerra, ma nell’Isola risorse limitate e anche poche aree adeguate a costruire
L’emergenza abitativa morde e il governo rompe gli indugi e accelera sul “Piano Casa”. L’obiettivo è agevolare la realizzazione di abitazioni a prezzi calmierati per persone e famiglie con redditi medio-bassi, che non riescono a pagare i prezzi del mercato libero (affitti o mutui) e sono privi dei requisiti per ottenere una casa popolare. Le risorse finanziarie stanziate con le Leggi di Bilancio 2024 e 2025 ammontano a 660 milioni di euro. Si stima che se si volessero realizzare 50mila abitazioni nel Paese occorrerebbero risorse per 14,8 miliardi, più o meno quante sono le risorse per costruire il Ponte sullo Stretto. La stima comprende anche il costo del terreno di proprietà pubblica. Siccome l’esecutivo si rende conto che il fabbisogno per dare consistenza all’iniziativa non è adeguato alla crisi pensa di poter ampliare le risorse attraverso forme di partenariato pubblico-privato.
Ma la strada è stretta. Tra le risorse statali e quelle che potrebbero essere reperite attraverso lo strumento del partenariato, la Sicilia potrebbe contare su fondi stimati in 50-60 milioni di euro. Ad ostacolare il Piano, però, non c’è solo la scarsa dote finanziaria, ma anche la mancanza di aree adeguate a costruire. Ci sono, in compenso, gli enormi profitti che ancora la trasformazione edilizia produce (fino al 70 o 100% tra prezzo di produzione e prezzo di vendita) e che solo per il 5 o 6% vengono versati ai Comuni come oneri di urbanizzazione. Pur essendo di ridotte dimensioni, il Piano richiama alla memoria il “Piano Fanfani” (dal nome del ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, Amintore Fanfani nel governo De Gasperi V), attuato tra il 1949 e il 1963. Il Piano si proponeva di ricostruire il patrimonio abitativo fortemente danneggiato dalla guerra, dare una casa ai poveri e, puntando sull’effetto volano che la crescita dell’edilizia esercita sul sistema produttivo, favorire lo sviluppo economico e sociale del Paese e la riduzione della disoccupazione. Con la legge 28 febbraio 1949 n. 43 (“Provvedimenti per incrementare l’occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per lavoratori”), il Piano Ina-Casa, nell’arco di 14 anni, portò all’apertura di 20mila cantieri con 102 milioni di giornate operaie lavorative e furono realizzati circa 2 milioni di vani e 335mila alloggi (circa 20mila in Sicilia), assegnati per il 63% a famiglie di immigrati e in grande maggioranza (oltre il 62%) a famiglie con capofamiglia operaio. Furono coinvolti 5mila comuni (tra cui 151 dei 361 della Sicilia). Costò 936 miliardi di lire (483.403.657,55 milioni di euro: rivalutazione monetaria storica al 2025) e fu finanziato da fondi pubblici e dal contributo di imprese e lavoratori, che partecipavano con una modesta trattenuta sul salario. In seguito al Piano Fanfani venne istituito il fondo “Gestione Case per i Lavoratori” (Gescal) volto alla realizzazione e all’assegnazione di abitazioni ai lavoratori. Era gestito da Roma e veniva finanziato tramite trattenute dirette sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici e privati (0,35%) e dalle imprese (0,70%).
Negli anni Settanta lo Stato cominciò a fare un passo indietro nella regia diretta delle politiche abitative, trasferendo progressivamente alle Regioni la competenza sulla programmazione. È in questo contesto che si sviluppano tre forme di supporto abitativo alle famiglie. Edilizia sovvenzionata: le case popolari. Vengono, tuttora, finanziate interamente con risorse pubbliche attraverso enti regionali e sono destinate principalmente alla popolazione sotto la soglia di povertà assoluta. Edilizia agevolata: alloggi realizzati da operatori privati, con agevolazioni statali per la copertura degli interessi dei mutui. Edilizia convenzionata: interventi realizzati sulla base di una convenzione con il Comune. Dagli inizi degli anni ’90 il forte indebitamento pubblico raggiunto nei decenni precedenti rese necessario virare sugli interventi di edilizia convenzionata per non gravare sul bilancio statale. Nonostante questi interventi, lo sviluppo edilizio resta carente.
La Sicilia ha avuto il suo Piano Casa, ma è scaduto il 31 dicembre 2023: permetteva l’ampliamento degli edifici esistenti fino al 20%, e la demolizione e ricostruzione con un aumento fino al 25%. In seguito a una sentenza della Corte Costituzionale è stato dichiarato illegittimo. Sono state poi recepite le norme del Salva Casa nazionale che parzialmente coprono il vuoto normativo sul recupero edilizio.