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L'arcivescovo

"Caino ha ucciso Abele un'altra volta". Omicidio di Paolo Taormina, le parole durissime di Lorefice

La guida della diocesi palermitana, in un messaggio congiunto con l'Arcivescovo di Monreale Gualtiero Isacchi, parla del "fallimento di tutti" ma crede in un cambiamento anche se "serve tempo". Appuntamento sabato allo Zen per ricordare la giovane vittima.

Accursio Sabella

14 Ottobre 2025, 11:36

12:07

"Caino ha ucciso Abele un'altra volta". Omicidio di Paolo Taormina, le parole durissime di Lorefice

Caino ha ucciso Abele, un'altra volta. Usa parole molto forti, l'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, in un messaggio congiunto con l'Arcivescovo di Monreale Gualtiero Isacchi, per commentare l'omicidio di Paolo Taormina e dà appuntamento a sabato, in un incontro proprio allo Zen per ricordare il giovane. “Pietrificati. Sgomenti. Ancora un giovane – scrivono Lorefice e Isacchi - che toglie la vita ad un altro giovane. In modo brutale. Distrutte due vite, travolte famiglie, due in particolare. Il dolore e il turbamento ci travolgono. Caino continua ad uccidere Abele. Continua. Mani che si alzano, che impugnano ancora armi di pietra o di ferro per seminare morte. La stessa violenza, lo stesso dolore. Strazio che contorce le viscere di chi ha perso un figlio, un fratello, un amico e sente la vita segnata ormai da una assenza improvvisa, inspiegabile, violenta, la fine di un’esistenza chiamata a fiorire, a godere la vita, gli amori, un futuro”.

Lorefice e Isacchi non fanno sconti neanche alla famiglia di Gaetano Maranzano, il presunto omicida. Una famiglia “che ha cresciuto un figlio ma senza trasmettergli il valore inalienabile e intoccabile della propria e altrui vita, senza far passare che la violenza brutale non appartiene all’identità vera degli umani. È solo mostruosità! Va commiserata, non certamente esaltata. Strazio in cui si infrange la fragile speranza di coloro che un figlio, un fratello, un amico lo hanno già perso a causa della violenza e si auguravano non accadesse mai più”.

I due arcivescovi si interrogano su dove sia finito l'insegnamento di Gesù Cristo, ma anche su come la città di Palermo veda dissolversi in un gesto il patrimonio antico di culture che l'ha permeata. “Quanto spazio abbiamo dato – si domandano Lorefice e Isacchi - al culto del potere, dell’avere, della bruta forza, dei privilegi di casta, humus propizio per foraggiare mentalità e organizzazioni mafiose di ieri e di oggi? Quanto spazio abbiamo accordato alla loro cultura di morte, al loro subdolo sentirsi come divinità che hanno potere e diritto sulla vita degli altri? Troppo abbiamo sopportato la presenza di questa cultura, che si è infiltrata ovunque, in modi sottili, silenziosi, convincendo tanti di noi che fosse l’unica possibile e che ‘nulla mai cambierà’. E ritorna la sensazione devastante – aggiungono - di sentirci falliti: come genitori, come educatori, come Chiesa, come Istituzioni, come uomini e donne di governo”.

Lorefice e Isacchi parlano anche dell'educazione trasmessa ai giovani, del “vuoto” che abbiamo fatto trovare loro: “Come Vescovi sentiamo tutto il fallimento della Chiesa e della società”, aggiunge, amaro. Lorefice si augura, allo stesso tempo, che l'omicidio di Paolo Taormina possa rappresentare un “punto di svolta” per un cambiamento vero. Ma allo stesso tempo ricorda: “Ce lo eravamo augurati già lo scorso aprile, dopo quella notte di sangue a Monreale. Oggi rinnoviamo la stessa speranza. Crediamo che il cambiamento sia possibile! Scegliamo di alimentare il piccolo ulivo che le mamme dei tre giovani uccisi a Monreale hanno voluto piantare in quella piazza bagnata dal sangue innocente. Serve tempo, ma è un segno che, se curato da noi tutti, crescerà e darà frutti”.

E gli arcivescovi non si sottraggono alla responsabilità di indicare la strada da percorrere: “Non si tratta solamente di presidiare e mettere a soqquadro i quartieri a rischio – dicono - o i luoghi della movida, bensì di essere presenti tutti e insieme, a cominciare dalle Istituzioni civili, militari, scolastiche, religiose, con una ‘politica’ della cura dei cittadini più fragili. Fragili per mancata equa destinazione di beni (lavoro, casa, pane), per accesso alla cultura, per opportunità occupazionali e di crescita umana e spirituale. Essere presenti nelle vicende lieti e tristi che si vivono nelle case, nelle strade, nei quartieri. Abbiamo bisogno di rivedere le nostre politiche sociali, urbanistiche, di sviluppo culturale ed economico. Le nostre scelte religiose che tradiscono Dio e il suo sogno se restano prigioniere dei luoghi di culto e delle sacrestie. Dobbiamo ammettere i nostri fallimenti”. A cominciare dal fatto di avere relegato uomini e donne in contesti periferici e di avere dimenticato i più poveri. Infine, Lorefice e Isacchi danno appuntamento a sabato 18 ottobre alle 21, nell’Atrio antistante la Chiesa “S. Filippo Neri”, in via Fausto Coppi, allo Zen di Palermo. “Ricorderemo Paolo e gli altri giovani vittime di violenza. Li ‘porteremo al cuore’, nei nostri cuori. Staremo insieme alla presenza di Dio. Accoglieremo e pronunceremo parole di vita, di mitezza, di pace, di cura. Perché dalle ceneri e dal sangue – concludono - rinasca la Vita, ogni vita”.