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La sentenza

Gli abusi sessuali nella setta: il "Santone" Capuana condannato a 16 anni e 2 mesi

Si chiude con una sentenza di colpevolezza emessa dal Tribunale di Catania il processo di primo grado scaturito dall'inchiesta 12 apostoli

Laura Distefano

14 Ottobre 2025, 19:11

21:24

Pietro Capuana

Pietro Capuana, imputato nel processo 12 apostoli

Pietro Capuana è colpevole dei reati di violenza sessuale ed è condannato alla pena di 16 anni e 2 mesi di reclusione. Questa la sentenza emessa dal Tribunale di Catania che chiude il processo di primo grado scaturito dall'inchiesta "12 Apostoli" che nel 2017 portò alla luce un sistema di plagio e abusi ai danni di ragazzine fra le mura della Comunità di Lavina, ad Aci Bonaccorsi nel Catanese. Il presidente Santino Mirabella, alle 7 in punto, ha letto il dispositivo dopo una camera di consiglio durata tre ore: presente in aula anche Agata Consoli, oggi sostituto procuratore generale, che ha seguito il dibattimento avanzando anche le richieste di pena per i 4 imputati l'anno scorso. A sostituirla è stata la pm Anna Maria Ciancio. Oltre all'ottantenne "santone" Capuana, sono imputate anche Fabiola Raciti condannata a 15 anni e 2 mesi,  Katia Scarpignato a 7 anni e Rosaria Giuffrida a 9 anni e 4 mesi. Le tre avrebbero avuto il ruolo di "convincere" le ragazzine a subire le violenze. Il collegio composto dal presidente Mirabella e dalle giudici Cristina Scalia e Mariaconcetta Gennaro, ha assolto i 4 imputati da alcuni capi d'imputazione. 

Il risarcimento alle vittime 

Il tribunale ha condannato gli imputati a risarcire le parti civili: somma da stabilire in sede civile.  Le vittime degli abusi (con le famiglie) si sono costituite parte civile con gli avvocati Tommaso Tamburino, Sergio Ziccone, Roberto Russo Morosoli, Salvo Pace, Tania Occhipinti e Francesco Laurino. Invece l'associazione Galatea è stata rappresentata dall'avvocato Mirella Viscuso, il centro antiviolenza Thamaia dall'avvocato Laura Rizza, l'associazione Penelope dall'avvocato Santa Monteforte, Città Felice dall'avvocato Giulia De Iorio e Telefono Rosa Bronte dall'avvocato Samantha Lazzaro. La diocesi di Acireale, infine, con l'avvocato Giampiero Torrisi.

Le false testimonianze 

Il Tribunale inoltre ha inviato gli atti alla procura nei confronti di diversi testi ascoltati nel corso del dibattimento per valutare l'ipotesi di falsa testimonianza. Tra 90 giorni le motivazioni della sentenza. 

Mamma coraggio: «Finito un calvario»

L'inchiesta, nel 2016, è stata aperta grazie alla denuncia di una madre coraggio, che oggi era in aula assieme alla figlia all'epoca minorenne e oggi madre di un bambino. «Finalmente siamo arrivati alla verità - dice con gli occhi lucidi fuori dal Palazzo di Giustizia - ci siamo lasciati dietro le spalle un tormento e un calvario cominciato dieci anni fa. Grazie agli avvocati che ci hanno seguito in questo lungo percorso giudiziario. Ho provato pena - aggiunge riferendosi ad alcune testimonianze rese nel dibattimento - per le persone che mentivano sapendo di mentire. Sono cicatrici che non dimenticheremo mai». A un certo punto la donna ha capito che qualcosa non andava all'interno della comunità che frequentava. «Mi sono svegliata quando mia figlia mi ha detto quello che accadeva. E lì ho cominciato a indagare». 

Gli avvocati di parte civile commossi 

È commosso Tommaso Tamburino, che assiste cinque delle ragazze e che segue la vicenda fin dall'inizio. «Oggi possiamo dire che la giustizia è lenta ma implacabile. Questa è una sentenza giusta». 

Anche l'avvocato Salvo Pace, che ha assistito una delle giovani, è particolarmente toccato: «Oggi arriva finalmente la sentenza di primo grado del processo a carico del “santone Capuana“ e delle sue complici. Le accuse gravissime a suo tempo avanzate dalle ragazze che frequentavano la sua comunità di una serie lunghissima di abusi sessuali ha retto alla prova del dibattimento. Le pene irrogate dal Tribunale sono pesantissime ma del tutto adeguate alla gravità estrema delle condotte accertate». «Il percorso giudiziario è stato lungo e doloroso, ma la decisione odierna mette in evidenza la grande attenzione che il Tribunale ha sempre mantenuto durante il lungo dibattimento, e restituisce giustizia alle vittime che hanno avuto la forza di raccontare e di affrontare questa tragica vicenda», è invece il commento a caldo dell'avvocato Sergio Ziccone, che ha accompagnato nel dibattimento un'altra giovane vittima. L'avvocato Roberto Russo Morosoli ricorda che quando questo dibattimento è cominciato «era un giovane praticante. Dopo un interminabile dibattimento, finalmente una sentenza riconosce le ragioni delle parti civili. Ragazze, all'epoca poco più che bambine, vittime di gravissimi reati compiuti da chi avrebbe dovuto educarle e proteggerle. Nessuno potrà mai restituire loro l'infanzia rubata ma, con il loro coraggio, hanno impedito che simili eventi possano essere reiterati». 

Antonella Caltabiano, presidente del Telefono Rosa Sicilia, sottolinea l'importanza di questa sentenza per la lotta alla violenza di genere: «Oggi il Tribunale di Catania ha pronunciato una sentenza che ci rende un momento di verità e di giustizia atteso da anni. Il massimo della pena inflitta agli imputati rappresenta un riconoscimento importante non solo per le vittime che hanno avuto il coraggio di raccontare l’indicibile, ma anche per tutte le donne e le ragazze che, in silenzio, continuano a subire violenza e manipolazione. Come Centro Antiviolenza Telefono Rosa Sicilia esprimiamo soddisfazione per la decisione dei giudici e rinnoviamo la nostra vicinanza alle vittime, la cui forza e determinazione sono state decisive nel rendere possibile questo risultato. Questo verdetto restituisce dignità e credibilità a chi per troppo tempo è stato messo in discussione, insultato, colpevolizzato».

La difesa annuncia ricorso

Il collegio difensivo dei 4 imputati composto dagli avvocati Mario Brancato, Giuseppe Grasso, Giada Taccia e Cesare Cicorella annunciano il ricorso in appello. L'avvocato di Capuana, Mario Brancato, ha inviato una nota, in cui «intende ribadire un principio fondamentale sancito dall’articolo 27, comma 2, della Costituzione italiana e dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU): ogni imputato ha diritto ad essere considerato innocente sino a condanna definitiva e a essere giudicato senza preconcetti di colpevolezza, né dentro né fuori dall’aula di giustizia. Un processo equo, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, deve garantire il pieno contraddittorio tra le parti e la possibilità per la difesa di far valere le proprie ragioni mediante l’esame di tutte le prove e testimonianze rilevanti. Riteniamo che, in questo procedimento, non tutti gli elementi siano stati valutati con equità e completezza, compromettendo una piena ricostruzione dei fatti. È doveroso ricordare che i contributi economici erogati per anni alle famiglie coinvolte sono stati sempre riconosciuti con ricevuta firmata dai beneficiari, a dimostrazione della trasparenza e regolarità delle procedure. Si tratta di un dato oggettivo e documentato, che assume particolare rilievo alla luce del fatto che molte denunce sono state presentate solo dopo la cessazione di tali contributi, circostanza che non può essere trascurata in un’analisi serena e imparziale. Durante il dibattimento, la difesa ha indicato oltre 120 testimoni a favore dell’imputato, ma la maggior parte delle istanze di confronto e controesame è stata rigettata.
Riteniamo che tale limitazione abbia inciso sul diritto di difesa, tutelato dagli articoli 24 e 111 della Costituzione e dagli articoli 495 e 506 del Codice di Procedura Penale, che garantiscono il principio di parità tra accusa e difesa nella formazione della prova.
Alla luce di quanto sopra, la difesa annuncia la proposizione dell’appello, nella ferma convinzione che la sede superiore possa esaminare ogni elemento documentale e testimonianza esclusa, restituendo così piena dignità al diritto di difesa e alla ricerca della verità. Con fiducia nella giustizia, continueremo a perseguire la verità con chiarezza, rigore e rispetto dei principi fondamentali dello Stato di diritto».