Il caso
Dalla denuncia al fallimento, la storia di Salvatore Fiore: «Mi hanno "ucciso" due volte»
L'imprenditore ha fatto nomi e cognomi di usurai ed estortori. Ma ora la società è fallita. «Dov'è lo Stato? Quei debiti li ha creati la criminalità organizzata»
«Per anni ho detto che la denuncia è l’unico strumento per sentirsi liberi. Ma oggi ho perso ogni certezza. Ho perso totalmente fiducia nello Stato. Perché quello Stato che doveva tutelarmi mi ha abbandonato». Parla così Salvatore Fiore mentre fra le mani ha la sentenza di liquidazione giudiziale della società Fi.Sal. Appalti srl di Camporotondo Etneo. Insomma la dichiarazione di fallimento del Tribunale. Quelle quattro pagine per l’imprenditore di Belpasso sono la seconda «condanna a morte» che ha ricevuto nella vita. La prima era stata firmata dai mafiosi.
Fiore è stato schiacciato dagli usurai e dagli estortori per anni. Era piombato in un circuito senza via di salvezza: per pagare gli strozzini si rivolgeva ad altri cravattari. La ditta individuale sommersa dai debiti la chiude e apre la srl. Per pagare firma assegni dal conto della società, che sono giustificati da fatture fantasma emesse dagli usurai. Alla fine il conto è di 700.000 euro. Nel 2009 Fiore decide di denunciare tutto alla polizia: si rinchiude a casa per due anni e nel frattempo la procura indaga. Scatta, qualche anno dopo, l’inchiesta Money Lander con arresti e sequestri. Il processo penale di primo grado è in corso. La Fi.Sal. Appalti è protagonista di quel fascicolo. Nel frattempo Fiore dal monte Olimpo finisce nel baratro. «Quando ho denunciato mi hanno coccolato, i poliziotti sono stati eccezionali. E a loro non finirò mai di dire grazie. Poi sono arrivati i risvolti fiscali, ma io ho continuato a credere che tutto sarebbe andato bene. Mi ero affidato alle Istituzioni. Ero convinto che tutto sarebbe finito per il meglio. Ma non è stato così». Nel 2011 c’è una verifica fiscale: si apre un procedimento penale a carico di Fiore per reati tributari, ma la sentenza è assoluzione perché il fatto non sussiste. Ma i procedimenti civili e fallimentari invece vanno avanti. Un debito con l’Erario di 700mila euro, fra sanzioni e interessi, è lievitato diventando più di 3.000.000 di euro. «Il mio avvocato più volte ha detto alla procura di aspettare il termine del procedimento penale, al cui interno c’erano le garanzie economiche. Ma non è stato ascoltato. Quei debiti sono stati creati dalla criminalità organizzata. Con le mie denunce sono stati confiscati beni. Un patrimonio di 8 milioni è già confiscato in maniera definitiva e quindi è entrato nel patrimonio dello Stato. E un’altra parte è ancora al vaglio del processo ordinario che dopo 16 anni è ancora pendente. Perché quando ho denunciato non hanno azzerato tutto? Da oltre un decennio sono inondato da cartelle esattoriali. Pensavo che con la denuncia avrei chiuso i conti con lo Stato. Perché fare fallire la società? Perché non trovare un’altra strada? Invece mi ritrovo senza niente. La mia famiglia è andata in frantumi. Mi hanno ammazzato due volte, prima la mafia e ora lo Stato. Che senso ha vivere così?». Fiore, disperato, ha scritto alla presidente dell’Antimafia, Chiara Colosimo. «Non ho ricevuto risposte. Solo la politica può cambiare questo sistema pieno di storture. Ma oltre a tante chiacchiere in questi anni ho visto pochi fatti. Ho perso ogni fiducia». L’imprenditore di Belpasso ha deciso anche di scrivere una lettera al procuratore Francesco Curcio.
Rosario Cunsolo, presidente dell’Associazione Libera Impresa che da anni accompagna vittime di estorsione e usura, propone da tempo una strada semplice da seguire. Ma pare che in Italia anche le cose facili diventino particolarmente complicate. «Quello che io mi chiedo è perché - argomenta - dopo la denuncia delle vittime non venga congelato il debito con lo Stato, almeno fino alla definizione del procedimento penale. Così almeno si può dare un po’ di ossigeno alla vittima per ripartire e quindi produrre reddito. Poi se quanto denunciato corrisponderà a una sentenza di colpevolezza quel debito andrebbe annullato, in caso contrario si può aprire un procedimento. Ma nel frattempo quella persona ha trovato un modo di guadagnare e quindi potrebbe avere l’opportunità anche di pagare i debiti pregressi». Ma il «peccato originale» sarebbe nel sistema. «La legge era stata pensata - dichiara Cunsolo - per i collaboratori di giustizia e poi, con un semplice copia e incolla, è stata ampliata per i testimoni di giustizia ma non si possono applicare le stesse regole a due figure così diverse. Una stortura a cui si è cercato di rimediare. Ma, a quanto pare, non ancora in maniera sufficiente».