Il movente
Capizzi, l'omicidio di Giuseppe Di Dio: il killer scagiona il padre e il fratello
Una banale lite davanti al bar avrebbe fatto scoppiare la vendetta, ma il bersaglio è stato sbagliato
									Una serata di novembre si è trasformata in incubo per la comunità di Capizzi, piccolo centro dei Nebrodi, dove il sedicenne Giuseppe Di Dio ha perso la vita, colpito da un proiettile destinato a un altro. A confessare il delitto è Giacomo Frasconà, ventenne già noto alle forze dell’ordine, che ha fornito una versione dei fatti ancora non ufficiale, ma che potrebbe scagionare il padre Antonino e il fratello Mario, entrambi fermati dalla Procura di Enna.
Secondo quanto riferito dal giovane al suo legale, l’omicidio sarebbe stato il tragico epilogo di una lite scoppiata circa un’ora prima davanti a un altro bar. Il bersaglio della sua rabbia era un coetaneo con cui aveva avuto precedenti scontri, culminati in una denuncia per minacce. Dopo essere stato sopraffatto fisicamente, Frasconà avrebbe recuperato una pistola calibro 6.35 nascosta in un rudere, acquistata a Catania e tenuta per “guadagnarsi rispetto”.
Durante il tragitto verso casa, avrebbe chiesto al padre di fermarsi in via Roma per bere una birra. Il padre, secondo la sua versione, avrebbe tentato di dissuaderlo, ma alla fine sarebbe andato via con il figlio minore. Rimasto solo, Giacomo avrebbe iniziato a cercare il rivale, urlando il suo nome e sparando. Giuseppe Di Dio, che si trovava lì con gli amici, è stato colpito al collo e ucciso. Un altro giovane è rimasto ferito.
Il racconto di Frasconà, che non è stato ancora verbalizzato, sarà sottoposto all’analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza per verificarne l’attendibilità. Resta da chiarire se il padre e il fratello fossero consapevoli delle intenzioni omicide o se si siano allontanati prima della sparatoria.
La famiglia Frasconà è nota in paese per episodi di violenza. Mario, il fratello diciottenne, ha scontato un anno di pena per minacce e per aver incendiato il portone della caserma dei carabinieri. Giacomo, invece, ha danneggiato auto e tentato di sfondare la vetrata dell’ufficio postale, indossando sacchi della spazzatura. La questura aveva richiesto un Daspo urbano, mai completato.
Il vero bersaglio dell’agguato, intervistato dal Tg1, ha raccontato di essere stato minacciato più volte e di aver subito aggressioni per futili motivi, come una discussione al ritorno da una sagra. “Mi dispiace per Giuseppe”, ha dichiarato, sottolineando la casualità tragica dell’evento.
La madre di Giacomo ha espresso dolore e chiesto scusa alla famiglia della vittima, difendendo il marito: “Secondo voi un padre porta il figlio a fare una strage?”.
La convalida del fermo, firmata dal procuratore Ennio Petrigni, sarà valutata dal giudice per le indagini preliminari. I tre indagati compariranno accompagnati dall’avvocato Felice Lo Furno. Sarà in quell’occasione che il racconto di Giacomo Frasconà verrà messo nero su bianco, aprendo forse uno spiraglio di verità in una vicenda che ha sconvolto un’intera comunità.