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Il processo

Mafia a Niscemi, sette condanne confermate in appello

I giudici di secondo grado hanno modificato le statuizioni civili al Ministero. Amato e Di Stefano hanno concordato le pene, i fratelli Musto non hanno presentato ricorso e avranno uno “sconto” sulla pena

Laura Mendola

16 Dicembre 2025, 04:50

Tribunale di Caltanissetta

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Le condanne tra il primo e il secondo grado sono una "copia", cambiano le statuizioni civili, in particolare al Ministero dell’Interno. Così la Corte d’appello di Caltanissetta si è pronunciata poco prima delle 19 di ieri per il procedimento “Mondo opposto”, sulla mafia di Niscemi, che ha visto sul banco degli imputati Giuseppe Auteri, Giovanni Ferranti, Davide Cusa, Maria Antonietta Caruso (compagna del boss Alberto Musto), Gianni Ferranti, Francesco Piazza e Paolo Rizzo. La Corte ha confermato le condanne a dieci anni e otto mesi a Giuseppe Auteri, nove anni a Giovanni Ferranti, due anni e nove mesi a Davide Cusa, tre anni e 4 mesi a Mariantonietta Caruso, un anno e 10 mesi a Gianni Ferranti, 6 anni e 4 mila euro di multa a Francesco Piazza e un anno e otto mesi a Paolo Rizzo.

In appello non hanno presentato ricorso i fratelli Alberto e Sergio Musto (per loro la condanna è diventata definitiva) e a conti fatti otterranno un ulteriore sconto rispetto ai 20 e ai 12 anni di reclusione previsti con la sentenza del gup dello scorso 12 maggio.

In appello, invece, hanno deciso di concordare la condanna Francesco Amato e René Di Stefano. Al processo parte civile c’è stato il Comune di Niscemi, rappresentato dall’avv. Paolo Testa, il Ministero dell’Interno con l’Avvocatura dello Stato rappresentata da Giuseppe Laspina e la Fai a livello regionale e locale.

Nel momento in cui verranno depositati i motivi d’appello gli imputati con i loro difensori decideranno se presentare ricorso in Cassazione. Nel frattempo finora ha retto l’impianto accusatorio della Procura distrettuale antimafia di Caltanissetta che ha scoperto, con l’indagine dei carabinieri del Reparto territoriale, l’escalation di sangue e terrore che i fratelli Musto - della famiglia di Gela e Niscemi di Cosa nostra - volevano mettere in campo per vendicare le dichiarazioni dell’imprenditore Lionti che aveva raccontato le estorsioni subite. Un torto che doveva essere vendicato con il sangue e con un’azione eclatante.