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lo spettacolo

"Duchi, imperatrici e streghe", al Castello del Solacium la memoria diventa rito: tre donne, tre storie

Lo spettacolo itinerante di Manuel Giliberti intreccia memoria e identità siciliana tra confessioni, luci di candele e ritratti indimenticabili

06 Dicembre 2025, 11:22

"Duchi, imperatrici e streghe", al Castello del Solacium la memoria diventa rito: tre donne, tre storie

Nel suggestivo scenario del Castello del Solacium a Siracusa è andato in scena lo spettacolo itinerante "Duchi, Imperatrici e Streghe" per la regia di Manuel Giliberti, che ha oltrepassato i confini del teatro per diventare un rito condiviso, una soglia in cui memoria, mito e identità siciliana hanno trovato una voce comune.

Tre donne, tre storie, un luogo. Ciò che le accomuna è un passato lontano e una luce fioca creata nei diversi ambienti con maestria e cura registica attraverso lumi e candele. Ombre mute, evocative, insieme a luci misurate, hanno creato un perimetro emotivo in cui la parola è tornata a essere origine, eco, rivelazione.

Giusi Norcia, tessitrice sapiente di storie e respiri, è diventata guida, emozionando e materializzando l’immagine che diventa molteplice e stratificata. Ha attraversato i tempi e ha intrecciato la storia del Solacium, che risale al periodo normanno e svevo, con successive influenze arabe e aragonesi fino a diventare parte del feudo della famiglia Arezzo della Targia e infine dimora privata della famiglia Pupillo.

Qui, attraverso la creatività drammaturgica di Manuel Giliberti, prendono vita i tre quadri, un viaggio nella memoria attraverso tre donne che hanno fatto la storia della Sicilia tra mito, leggenda e verità storica.

Deborah Lentini, indomabile e spregiudicata, interpreta Costanza D’Altavilla e affronta Davide Sbrogiò nelle vesti del suo confessore. Ironia, sfrontatezza, regalità e peccati: creano un duetto indimenticabile che più di una volta ha fatto sorridere il pubblico e lo ha indotto al contempo alla riflessione.

Francesco Di Lorenzo, inquisitore perfetto; incarna anche l’uomo e pone quesiti. Si trova di fronte Caterina da Siracusa, interpretata da Cecilia Mati Guzzardi, donna bracciante, fiera, altera, accusata di stregoneria e di ermafroditismo. In scena anche Giulia Lantieri, misteriosa incarnazione di un passato, tra un demone e un'ossessione.

E infine Mita Medici. A lei tocca vestire i panni di Franca Florio. La sua figura, colta tra tormento intimo e leggerezza estrema, ha rivelato una donna che non si lascia catturare dalle immagini statiche della cronaca mondana. L’attrice ha incarnato la vanità e la caduta, il desiderio e la sconfitta, la nostalgia e la resa che non è arresa: una consapevolezza finale che ha il sapore di un filo d’oro, sottile e resistente, capace di tenere insieme i resti di un’epoca dissolta.

Una frase resta tra tutte: anche felice. E felice e commossa si è mostrata l’attrice romana che ancora una volta ha sentito tutto il calore del pubblico siracusano.

Un fil rouge lega queste tre visioni immaginate da Giliberti: la scrittura; la confessione; la parola, che diviene spada ma anche balsamo; riflessione e tempesta. La stessa scrittura attraverso cui il regista nutre, evoca e rende immortali i personaggi. Ovazioni e sold out per tutte le repliche e la promessa di riproporlo in primavera.

(foto Franca Centaro)