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Il commento

Né solo l'esercito, né solo la scuola. E qualcuno salvi il soldato Lagalla

Pensare che una militarizzazione della città o un potenziamento delle istituzioni educative possano, nel breve, cambiare le cose a Palermo, è solo un'illusione.

Accursio Sabella

14 Ottobre 2025, 09:43

Omicidio a Palermo

Il luogo della tragedia a Palermo

L'esercito e la scuola. I feticci sono pronti. Sfidiamo l'accusa di disfattismo: il problema della violenza insensata, esagerata non lo risolveremo domani, né dopodomani, quando arriveranno divise e carri armati. O quando avremo firmato l'ennesimo protocollo d'intesa e dato vita al nuovo progettino in classe. Non illudiamoci.
Forse, l'esercito salverà il soldato Roberto. Il sindaco Lagalla sceso in piazza, domenica, caricandosi responsabilità in parte non sue, portando sul viso, in quell'espressione attonita, tesa, in piazza Politeama, la fatica di amministrare una comunità difficile, a volte impermeabile, refrattaria. Un sindaco che non dispone di forze dell'ordine, né può ordinare retate. Che probabilmente avrebbe dovuto farsi sentire di più, riporre nello sgabuzzino la retorica della “percezione”, fare avvertire diversamente la presenza della Polizia municipale. E lavorare di più sulla prevenzione che rischia, però, senza le dovute indicazioni, di apparire come un'altra panacea illusoria e liberatoria. Come lo sport di affermare che, alla fine, la colpa è del sindaco. Sempre e comunque.

E l'esercito salverà anche noi. “C'è l'esercito”, diremo. Penserà a tutto lui. E, per carità, se quello significa un maggiore controllo del territorio, ben venga. Ma quella presenza non ha nulla a che vedere davvero con l'omicidio del povero Paolo Taormina. Fingeremo, semmai, di non vedere che il problema non è nel luogo di arrivo, ma all'origine. Che non è nella pistola che spara, insomma, ma in chi quella pistola l'ha consegnata a un 28enne. Armi potenzialmente pronte a sparare in qualsiasi momento. Anche per un tamponamento in viale Strasburgo o in via Messina Marine. Fingeremo che va bene così, solo perché il prossimo verrà ammazzato fuori dai “luoghi della movida”. E fingeremo di non accorgerci, con un'ingenuità fasulla, sbrigativa e ipocrita, che i presunti assassini di Monreale e dell'Olivella provengono dallo Zen. Razzismo? Classismo? Per carità. È proprio nell'interesse delle tante persone perbene che vivono in quel quartiere, come in altre zone sensibili di Palermo, comprendere cosa avviene da quelle parti. Quale criminalità si sta consolidando, quale sia l'identikit e la diffusione.

La risposta è nell'educazione, dice chi è pronto a sventolare l'altro feticcio. Perché sì, l'educazione è importante, a patto che ci diciamo la verità. Che non eviterà il prossimo fatto di sangue che avverrà tra giorni, settimane o mesi. Ce lo ha spiegato ieri su queste pagine Roberto Alajmo, narratore e grande conoscitore di questa città: il degrado di Palermo è un processo che va avanti da almeno trent'anni. Mettiamoci in testa che anche il processo opposto, se ci sarà mai, sarà lungo e difficile. Senza contare gli inciampi. Proprio allo Zen - e proprio a scuola - abbiamo creato simboli di legalità che si sono rivelati in qualche caso farlocchi. E la scuola oggi ha la solidità di un castello di sabbia contro le onde del web e dei social, di un mondo che le passa sopra, dentro, attorno. Un'istituzione indebolita anche da alcuni di quei genitori che oggi vagheggiano: «La scuola ci salverà dagli assassini».
Ma la scuola, la cultura, le politiche sociali da sole non ce la faranno. L'esercito da solo non ce la farà. Il sindaco Lagalla, da solo, non ce la farà. E non ce la faremo noi, solo scendendo in piazza. C'è da mettere tutto in discussione. E provare a capire perché le politiche sociali, in trent'anni abbiano fallito, al di là delle singole responsabilità. Perché si è perso il controllo di certi pezzi di territorio. Perché noi, come cittadini, abbiamo fallito, con le relative gradazioni e convinzioni, nel voto, nell'educazione, nell'abitudine di mostrarci indifferenti, pavidi o arresi. Davvero questa città ha intenzione di iniziare questo processo - nel doppio significato - per il quale servirà tempo e sul quale non c'è alcuna certezza di successo? Chi deciderà di resistere alla legittima, persino logica, idea di andarsene da qui, dovrà farlo e stringere i denti ancora per molto. O può accontentarsi di prendersela col sindaco di turno, prima di andare a sgridare (nel migliore dei casi) il professore che ha bocciato quell'asino di suo figlio, lasciato da solo per tutto l'anno davanti a TikTok.