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Turismo esperenziale

Impastare, ascoltare, condividere: due paesi in Sicilia dove il viaggio crea legami ed emoziona

Lezioni di pasta e relazioni nei borghi a Ispica e Motta Camastra l'accoglienza diventa incontro facendo "Miliddi" e "Maccarruna"

Carmen Greco

24 Novembre 2025, 17:14

17:32

Impastare, ascoltare, condividere: due paesi in Sicilia dove il viaggio crea legami ed emoziona

C’è una Sicilia che non si fotografa soltanto: si annusa, si tocca, si ascolta e soprattutto si impasta. È la Sicilia dei piccoli borghi, quelli che molti turisti stranieri cercano per ritrovare un ritmo lento e un senso di casa che credevano perduto. Non un turismo di consumo, fatto di tappe veloci e gruppi compressi dentro un itinerario rigido, ma un turismo di partecipazione, in cui si entra letteralmente nella vita quotidiana delle persone, si condividono ricette di famiglia, si ascoltano storie attorno a un tavolo e si porta con sé, come souvenir, un sapere antico: la pasta fatta a mano.


In un’epoca in cui l’overtourism svuota di autenticità le mete più note, la Sicilia risponde con una nuova frontiera del viaggio: la relazione. Una relazione che profuma di grano duro, di dolci al cucchiaio, di case aperte e risate, di storie che si intrecciano attorno a un tavolo. Una relazione che diventa conoscenza, identità, memoria.

È il caso di Ispica, un borgo che profuma di pietra chiara, di grano, sesamo e ortaggi dove la tradizione dei Miliddi – una pasta fresca preparata solo qui, e solo a Natale – è diventata il cuore pulsante di una nuova forma di accoglienza. A farla rivivere Laura Rubino e Anna Blanco, “Cesarine” per passione prima ancora che per titolo, protagoniste di una tappa del “Food Mama Fest”. Nelle loro case trasformano farina, acqua e uova in un’esperienza sensoriale ed emotiva che conquista viaggiatori da tutto il mondo. La loro avventura nasce quasi per gioco, una sera di Capodanno: «Laura, ci dobbiamo iscrivere alle Cesarine», propone Anna. Laura nemmeno sapeva chi fossero, eppure pochi giorni dopo la loro candidatura viene accettata. La Pro Loco le sostiene, il territorio le riconosce come custodi di una tradizione che rischiava di perdersi, e così le porte delle loro abitazioni si aprono ai visitatori curiosi.

Anna Blanco e Laura Rubino "Cesarine" di Ispica

Da allora, hanno ospitato “il mondo” a casa loro, americani in primis, ma anche tedeschi, olandesi, neozelandesi, viaggiatori solitari, coppie, famiglie. Persino un’ex dirigente scolastica australiana che, in giro per il mondo, ha deciso di fermarsi un 25 dicembre intero per vivere un Natale “alla siciliana”. O un turista neozelandese che, per elaborare il lutto dell’amico che gli cucinava ogni giorno piatti italiani, ha deciso di venire qui per impararli con le proprie mani.
Storie che si intrecciano, come i Miliddi (una pasta fresca tipo piccoli maccheroni senza buco ndr) che prendono forma sul tavolo.

La tipica ricetta dei Miliddi di Ispica, al forno con un sugo di maiale e i broccoli

Il rito inizia sempre nello stesso modo: un sorriso, un grembiule, una ciotola di farina di grano duro, le uova, l’acqua, una sorpresa per la maggior parte degli stranieri, abituati alla farina 00 o Manitoba. Poi le mani affondano, impastano, sentono la materia trasformarsi. «La cosa che li affascina di più è proprio la manualità», racconta Laura. «Non hanno idea di cosa significhi impasto. Le ricette variano: cavatelli, ravioli, focacce, tagliatelle, biscotti al burro per i più piccoli. A volte un ospite chiede un piatto particolare assaggiato in viaggio – come la caponata – e allora Laura lo prepara con loro, perché nulla è più bello che vedere qualcuno desiderare di imparare un pezzetto di Sicilia. Il dolce è quasi sempre lo stesso, un tiramisù che unisce tutti, grandi e piccoli.

I gruppi sono ristretti, massimo quattro persone, spesso due: «Così manteniamo l’intimità», spiegano. Perché qui non si fa una lezione di cucina, si vive una giornata insieme». Non è raro che gli ospiti siano discendenti di emigrati italiani: «Vogliono rivivere ciò che vedevano fare alle loro nonne», spiega Anna. «Molti ci dicono che questa esperienza restituisce loro un pezzo d’infanzia».

Motta Camastra, la "maestra" dei maccheroni Mimma   

E proprio questa idea di comunicazione del territorio che, poco più a nord, anima un’altra iniziativa che profuma di autenticità: le Mamme del Borgo. Sono sette, tutte residenti a Motta Camastra, minuscolo paese di 800 anime – frazioni comprese – arrampicato nella valle dell’Alcantara, a due passi dalle celebri gole e dalle atmosfere cinematografiche dove Francis Ford Coppola girò alcune scene del Padrino. Le “mamme” hanno fatto rinascere il paese con la loro iniziativa di ristorante “diffuso” (vale a dire le loro case) ormai battezzato nel 2017 e andato avanti oltre la crisi del Covid grazie alla loro intraprendenza e perseveranza. Oggi una lezione di “maccheroni con il ferretto” fa parte dei pacchetti turistici e degli itinerari proposti dalle guide locali a dimostrazione - semmai ce ne fosse bisogno - che la Sicilia autentica ha un’attrattività fortissima per gli stranieri.

Per approfondire leggi anche:

Lezione di maccheroni con il ferretto a Motta Camastra (Messina) 

Queste donne hanno trasformato il pranzo della domenica in un rito collettivo che trasforma il borgo in un piccolo teatro di profumi, risate, racconti e tavolate condivise. Un modo intelligente e caloroso per far conoscere davvero il territorio a chi, salendo per le stradine tortuose del paese, cerca non solo un panorama, ma un incontro. Qui il turista non assiste: partecipa. Ed è proprio quello che cerca.

«La formula funziona perché la sua forza è nelle relazioni che si creano con le persone. Ai turisti non interessa solo fare la pasta – sottolinea Mariangela Currò, una delle Mamme del Borgo – ma vivere il paese, conoscere la signora Concetta che ha una vecchia bottega, prendere un caffè al bar, camminare per le stradine, sentire l’odore delle case, delle cucine, delle feste. È un’esperienza di territorio, non di prodotto».


I più numerosi sono gli americani, spesso alla ricerca di quel legame con i nonni emigrati. «Quando riescono a tirare dal ferretto il maccherone senza che si appiccichi sono felici come bambini - racconta Mariangela -. Lo facciamo da tanti anni ma è sempre sorprendente come ognuno di loro si senta grazie alla pasta, al cibo, al pranzo che facciamo tutti insieme, parte della comunità per un giorno. In quella mezza giornata che trascorriamo assieme emergono legami profondi, e il rapporto non finisce quando si chiude la porta: a Natale arrivano messaggi, foto dall’America con tavole imbandite, video di ricette replicate nelle cucine ultramoderne delle loro mega-ville.

La partecipazione è alla portata di tutti: una lezione pranzo compreso dura circa tre ore, anche se poi la convivialità prolunga inevitabilmente i tempi. Ogni esperienza è unica, cucita su misura in base alle richieste.
E il territorio? Vive. Perché ogni turista che arriva a Ispica come a Motta Camastra entra in una casa, porta un’economia gentile, che fa bene ai piccoli paesi, alle botteghe, ai produttori locali. Fa bene soprattutto alle persone, che ritrovano orgoglio nel condividere ciò che sono. Non si tratta solo di salvare le tradizioni, ma di farle respirare, farle tornare materia viva nelle mani di chi arriva da lontano.
Forse è questa la vera ricchezza dell’isola: la capacità di trasformare ogni gesto semplice in un rito, ogni ingrediente in un racconto, ogni ospite in un “parente. E così, quando il turista parte, non porta con sé un magnete o una cartolina, ma un dono molto più prezioso: l’arte di fare la pasta fresca e la Sicilia fra le mani.