«L'esercito non estirpa la violenza»: Lorefice chiama Palermo a spezzare la spirale omicida
Al funerale di Paolo Taormina, l'arcivescovo: «Non sono gli eserciti, non sono le forze di polizia, col loro pur encomiabile servizio, a cui siamo gratissimi, che potranno mettere fine a tutto questo».

Monsignor Lorefice
«Non uccidete Caino». Con questo monito l’arcivescovo Corrado Lorefice si è rivolto alla folla che ha gremito la Cattedrale di Palermo per l’ultimo saluto a Paolo Taormina, il ventenne ucciso con un colpo di pistola alla nuca nella notte di sabato.
Nel corso dell’omelia, il presule ha insistito sulla necessità di spezzare la catena dell’odio con una responsabilità condivisa: «Non sono gli eserciti, non sono le forze di polizia, col loro pur encomiabile servizio, a cui siamo gratissimi, che potranno estirpare la violenza omicida». E ha aggiunto, rivolgendosi ai presenti: «Uccidere il fratello è il principio della guerra, della divisione mortifera. Ma la Parola di Dio continua a ripetere anche: “Non uccidete Caino!”».
Lorefice ha richiamato al tempo stesso fermezza e misericordia: «La giustizia deve fare il proprio corso, in quanto la realtà dei fatti va appurata, rispettata e chiamata per nome. Ma scacciamo dal nostro cuore la voglia di uccidere Caino. La cattiveria e la violenza non giustificano nessuna risposta altrettanto violenta». Un appello, questo, che vale per Palermo e per la «Casa comune», la Terra, dove «dobbiamo vivere sempre come ospiti e mai come proprietari». «Il riscatto non verrà da altra violenza, ma dal levarsi del desiderio di pace e di giustizia nella vita e nel cuore dei Palermitani», ha proseguito.
Secondo l’arcivescovo, l’unica via passa da una mobilitazione corale: «Possiamo essere solo noi, insieme. Può essere solo Palermo tutta a mettere fine alla spirale della violenza, attingendo alle sue energie interiori, alla sua storia, alla sua umanità». Ha poi ricordato il messaggio condiviso con l’arcivescovo di Monreale, mons. Gualtiero Isacchi: «Non si tratta solamente di presidiare e mettere a soqquadro i quartieri a rischio o i luoghi della movida, bensì di essere presenti tutti e insieme, a cominciare dalle Istituzioni civili, militari, scolastiche, religiose, con una “politica” della cura dei cittadini più fragili. Fragili per mancata equa destinazione di beni (lavoro, casa, pane), per accesso alla cultura, per opportunità occupazionali e di crescita umana e spirituale».
Da qui l’invito a rivedere «le nostre politiche sociali, urbanistiche, di sviluppo culturale ed economico», e a non confinare «le scelte religiose» nei soli luoghi di culto.
Nel solco della Scrittura, Lorefice ha invocato l’interrogativo di Genesi — «Dov’è tuo fratello?» (cfr. Gn 4,9) — come occasione di conversione personale e comunitaria: «Sii custode di tuo fratello! Non lasciamo che a vincere sia il demone della violenza. Il suo frutto avvelenato è morte che si espande. Basta violenza. Basta uccisioni».
Perché «solo l’amore dà senso alla vita. E solo l’amore di Dio, e dei suoi genitori, continua a dare vita a Paolo». Da qui l’appello a tornare a educare, a tessere legami, a spendersi per una visione di governo delle città — «di questa nostra tormentata città di Palermo» — orientata all’umanità e capace di guardare «dal basso», mettendo al centro ogni persona: «Ogni vita è sacra, ogni volto è il centro della Città, destinatario di attenzione e cura».
Infine, la preghiera perché il pentimento trasformi chi semina odio, nella comunità locale e nella «Casa comune» ferita da sfruttamento, conflitti e guerre. Nel mistero pasquale, ha detto, «offriamo a Cristo il corpo di Paolo che è tra le braccia delle persone amate ma — lo crediamo fermamente — anche nelle braccia del Padre Celeste che lo accoglie, del Figlio morto in croce che lo abbraccia, dello Spirito Santo che consola e dona il perdono».
E il commosso abbraccio alla famiglia: «Io, cari Giuseppe, Fabiola, Sofia e Mattia, a nome di tutta la Chiesa di Palermo, rimango in preghiera e vi avvolgo nel mio paterno e fraterno abbraccio».