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Palermo

L'arcivescovo Lorefice: «Lupi rapaci nelle istituzioni, votate e togliete la cosa pubblica a questi politici»

L'intervista a don Corrado, nei giorni in cui celebra il decennale del suo insediamento alla guida della diocesi palermitana.

Accursio Sabella

23 Novembre 2025, 11:01

L'arcivescovo Lorefice: «Lupi rapaci nelle istituzioni, votate e togliete la cosa pubblica a questi politici»

L'arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice

«Il potere? Spesso è nelle mani di chi non è intelligente. Non possiamo lasciare le istituzioni ai lupi rapaci E c'è un solo modo: tornare a votare». Quello di don Corrado Lorefice è un vero e proprio appello. Un richiamo ai cittadini, a noi tutti, affinché non sfuggiamo alle nostre responsabilità. Del resto, nei dieci dalla sua elezione ad Arcivescovo di Palermo, festeggiati in questi giorni, don Corrado è entrato spesso nel dibattito sulla vita reale del capoluogo e non solo, ha ascoltato le richieste, ha sollevato questioni vere, che bruciano: dalla lotta alla tossicodipendenza fino al tema della povertà, passando per le migrazioni, la politica, la mafia. «Gesù era tra la gente», ricorda, del resto. Ne parlerà anche domani, in Cattedrale, presentando il suo libro, scritto insieme a Nuccio Vara, edito da Zolfo. «Nel segno della speranza», è il titolo. Ma prima della speranza, c'è un altro passaggio. Quello in cui si analizzano i problemi di una comunità senza timidezze, né remore.

Come trova la città a distanza di dieci dalla sua elezioni?

«Vedo la recrudescenza di alcuni problemi che hanno segnato Palermo per tanti anni. Penso alla crescita di nuove povertà che affondano in questioni endemiche. Se alla gente non si assicura l'essenziale e mi riferisco al lavoro, alla casa, al pane, all'accesso alla cultura a cure dignitose, inevitabilmente si presta il fianco a chi vuole sostituirsi alle istituzioni. Registro, poi, una crescita della violenza in città e dell'uso delle droghe. La città ha bisogno di spiritualità, e non nel senso “clericale” del termine. Siamo in un momento in cui la vita sembra svuotata di senso, rischiamo di vivere in una realtà nichilista e i nostri giovani vincono la paura e la fragilità alienandosi nell'alcol e nella violenza».

A proposito di violenza, sulla scia, anche emotiva, dell'omicidio a Palermo del giovane Taormina, sono state assunte alcune decisioni come l'istituzione delle “zone rosse”. Lei non ha nascosto i dubbi sull'efficacia del provvedimento. E allora cosa si può fare affinché fatti del genere diventino sempre più rari?

«Se l'idea di vita si rispecchia in una collana che termina in un ciondolo a forma di pistola da mettere nelle mani di una bambina, evidentemente c'è qualcuno che sta “facendo scuola” al posto nostro. Una città inclusiva è quella nella quale il centro coincide con ciascuno dei cittadini. Non possono esistere periferie e tanto meno ghetti. È questa la sfida culturale, fondamentale, da affrontare. In certe zone di Palermo manca ciò che è essenziale. Se oggi la mafia offre uno stipendio che lo Stato e le istituzioni locali non sono in grado di garantire, la battaglia è già persa. Noi dobbiamo dare una risposta al dramma del lavoro, non possiamo perdere altro tempo. Questa è una società con troppe differenze. Persino sull'uso della droga, tra chi può permettersi la cocaina purissima e chi usa il crack. E se poi della droga fanno uso anche uomini delle istituzioni, vuol dire che davvero bisogna cambiare le cose».

Anche lei in prima persona è intervenuto su temi che riguardano l'amministrazione e la politica. Come se la Chiesa si fosse assunto il ruolo delicato di riavvicinare i cittadini alle istituzioni, oggi sempre più distanti. È così?

«Un libro, del quale sono anche uno degli autori, si intitola ‘Il Vangelo e la strada’. A me piace anche nella versione in cui la congiunzione diventa copula: ‘Il Vangelo è la strada’. Io sono di struttura mentale semplice, arrivo dalla periferia, nessuno dieci anni fa conosceva il mio nome. Ma ho avuto la fortuna di stare tra la gente. Solo così si conosce davvero per cosa soffre, che cosa spera. La politica oggi invece perde sempre di più la categoria del “servizio”. Io da sempre chiamo i rappresentanti delle istituzioni “servitori delle istituzioni”, non riesco a chiamarli autorità, così come io non mi considero tale. Ma più la politica perde l'adesione con la gente, più concentra potere. E il potere ammazza. Non solo allontana dalla realtà, ma diventa anti-politica. Non solo non serve la città degli uomini, ma la preda, la disperde. Questo è quello che avvertono i cristiani negli ospedali, per strada, nelle scuole. Se i miei occhi vedono sofferenza io non posso non tirare fuori le viscere di compassione».

Sono state tante, negli ultimi tempi, le inchieste sulla politica. E lo spaccato che emerge è quello di una diffusa corruzione. Quanto la preoccupa e cosa si può fare?

«Se a votare va il 40 per cento dei cittadini, è chiaro che siamo di fronte a un segnale di sfiducia nei confronti delle istituzioni. Che ha però un effetto terribile: favorisce la creazione di connivenze, porta lupi rapaci a governare. Per questo vorrei lanciare un appello ai cittadini: bisogna riassumersi la responsabilità delle città. Io ho registrato, in questo senso, qualche segnale positivo: penso ad esempio ai giovani che si sentiti coinvolti per i fatti dell'Ucraina o della Palestina. O per la Flotilla. La gente è sempre più distante però da una politica che è solo una concentrazione poco intelligente di potere. Sì, poco intelligente. Chi perderebbe la libertà, la dignità, a volte per cose da poco? Il potere spesso è nelle mani dei meno intelligenti. Furbi, sì, ma poco intelligenti».

Come si inverte la tendenza?

«Partendo dalla Costituzione. E tornando a votare. Ad assumersi la responsabilità della cosa pubblica. A fare in modo che l'alto numero dei votanti non consenta quella concentrazione che porta alle connivenze, anche con Cosa nostra. Le notizie sulla politica, generano un livello alto di delusione e di indignazione, ma non possiamo abituarci a queste cose, semmai farci una domanda: è davvero questa la classe politica che ci deve governare e deve amministrare la cosa pubblica? O ad amministrare la Sanità, un dramma oggi in Italia, un tradimento della Costituzione italiana? Come detto, però, qualche segnale dalla società ho avuto la fortuna di registrarlo».

A cosa si riferisce?

«Penso alla legge contro il crack: l'ha fatta la società civile, laici e cattolici, tutti insieme. Nei miei primi mesi qui, sui pontili di Palermo, quando arrivavano i migranti a migliaia, c'eravamo tutti. È quello che dobbiamo tornare a fare. Ma anche nel presente, come detto, c'è qualche segnale incoraggiante. Penso anche al fatto che il primo dicembre verranno organizzati gli Stati generali per l'infanzia allo Zen. Dopo i fatti drammatici di Monreale e Palermo, nel quartiere è arrivata gente che lì non era mai andata prima. Ecco, è questa è la strada per far risuscitare la nostra città».