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IL FURTO

Colpo al Louvre, la caccia si chiude: preso il “quarto uomo” ma dei Gioielli della Corona ancora nessuna traccia

Nuovi arresti a Parigi: gli inquirenti ritengono di aver individuato l’intero commando del furto lampo alla Galerie d’Apollon

Alfredo Zermo

25 Novembre 2025, 16:26

Colpo al Louvre, la caccia si chiude: preso il “quarto uomo” ma dei Gioielli della Corona ancora nessuna traccia

L’ultimo a cadere è stato quello che gli investigatori chiamavano il “quarto uomo”. È finita in una strada di periferia, a Parigi, la latitanza dell’ultimo presunto componente della banda che il 19 ottobre 2025 ha razziato la Galerie d’Apollon del Louvre in meno di otto minuti. Con l’arresto, avvenuto nelle ultime ore e confermato da fonti giudiziarie francesi, la squadra investigativa ritiene di avere oggi in custodia cautelare tutti e quattro gli esecutori materiali del colpo. I gioielli, però — otto pezzi della collezione dei Gioielli della Corona francese, dal valore assicurativo stimato in circa 88 milioni — sono ancora dispersi.

Cosa sappiamo davvero, al netto dei clamori

  • Quattro uomini avrebbero agito come nucleo operativo: due sono entrati in galleria, due li hanno attesi all’esterno per la fuga. Con il nuovo arresto, secondo gli inquirenti il “quartetto” è ora sotto misura cautelare.
  • Intorno al commando gravitava una piccola rete di appoggio: nelle scorse settimane sono stati fermati e in parte incriminati altri soggetti, tra cui due donne, con ruoli ipotizzati di supporto logistico.
  • Nessuno degli oggetti sottratti — tra cui una collana di smeraldi e diamanti donata da Napoleone I a Maria Luisa d’Austria, e il celebre diadema di Eugenia de Montijo costellato da quasi 2.000 diamanti — è stato recuperato. Durante la fuga i ladri avrebbero però perso una corona tempestata di diamanti e smeraldi, ritrovata nei pressi del museo.

Un colpo chirurgico in “quattro minuti” dentro il museo

Il racconto degli inquirenti, corroborato dalle ricostruzioni delle testate internazionali, parla di un’operazione tanto sfrontata quanto meticolosa. La mattina del 19 ottobre, in orario di apertura e con i flussi dei visitatori già in movimento, un camion con piattaforma (un elevatore per traslochi) si è fermato accanto a una facciata del Louvre. Due uomini, travisati e in abiti da operai, hanno raggiunto una finestra della Galerie d’Apollon servendosi del cestello e, una volta all’interno, hanno tagliato le teche con utensili a disco. Cronometro alla mano, i rapinatori sarebbero rimasti in galleria per circa 3 minuti e 58 secondi, con il totale dell’azione (avvicinamento, intrusione, fuga) sotto gli otto minuti. Poi, la scomparsa su scooter lungo la Senna verso est, dove li attendevano altri veicoli.

Sulla scena sono rimasti attrezzi, guanti, tracce di DNA, una radio e persino del carburante: indizi che hanno dato la prima impronta investigativa a un caso che, in poche ore, ha fatto il giro del mondo e messo a nudo vulnerabilità inattese nella macchina della sicurezza del museo più visitato del pianeta.

La svolta investigativa: DNA, aeroporti e periferie

Le prime due catture sono arrivate il 25 ottobre: un 34enne di nazionalità algerina è stato fermato mentre tentava di imbarcarsi a Charles de Gaulle con volo per l’Algeria e senza ritorno, un 39enne è stato preso poche ore dopo nella sua abitazione ad Aubervilliers. Gli inquirenti collegano entrambi a tracce genetiche trovate su una teca e su uno degli scooter di fuga. I due hanno fornito ammissioni “parziali” e sono stati accusati di furto in banda organizzata e associazione per delinquere, rimanendo in custodia cautelare.

Nelle giornate successive, una serie di blitz sincronizzati nell’area parigina ha portato a nuovi fermi: tra fine ottobre e inizio novembre sono finite nel registro degli indagati altre persone, fra cui un 37enne e una 38enne che hanno negato ogni coinvolgimento ma sono stati ugualmente sottoposti a misure restrittive per complicità o furto organizzato. Tre degli arrestati in quel giro di retate sono stati in seguito liberati senza accuse.

Oggi, infine, l’ulteriore stretta: la Procura di Parigi, guidata da Laure Beccuau, ha annunciato altri quattro fermi — due uomini e due donne tra i 31 e i 40 anni — e, soprattutto, l’individuazione dell’ultimo presunto componente del gruppo dei quattro che avrebbe eseguito materialmente il furto. A oggi, secondo quanto trapela dagli inquirenti, i quattro esecutori risultano tutti in detenzione preventiva. Resta, tuttavia, da chiarire se e come alcune figure esterne possano aver favorito logistica e ricettazione.

“Louvre sotto accusa”: falle, ritardi e dimissioni rifiutate

L’onda d’urto del furto ha travolto anche i piani alti della direzione del Louvre e il Ministero della Cultura. Davanti alla Commissione Cultura del Senato francese, la direttrice Laurence des Cars ha definito l’episodio «un fallimento terribile», assumendosi la propria parte di responsabilità e riferendo di aver offerto le dimissioni alla ministra Rachida Dati, che però le ha respinte. Des Cars ha ammesso che in quella fascia di facciata «le telecamere esterne non coprivano a sufficienza» e che i sistemi richiedevano un’accelerazione negli aggiornamenti, già raccomandati in precedenti audit.

La vicenda ha aperto un fronte politico: il prefetto di polizia di Parigi ha invocato un potenziamento tecnologico con strumenti di analisi video e intelligenza artificiale, mentre la Corte dei Conti (lo “State auditor” francese) ha stigmatizzato la lentezza negli aggiornamenti della sicurezza, chiedendo standard più elevati per la protezione di patrimoni culturali ad altissimo rischio. Intanto, per precauzione, alcuni pezzi di pregio sarebbero stati trasferiti temporaneamente presso la Banque de France.

Ladri “professionisti” o “dilettanti organizzati”?

Su un punto, gli esperti non sono d’accordo. C’è chi vede la mano di professionisti — tempismo, strumenti, esfiltrazione rapida — e chi, come la stessa Procura di Parigi, parla di “piccola criminalità” più che di reti mafiose strutturate: errori macroscopici (una corona caduta, attrezzature abbandonate), impronte e DNA disseminati lungo il percorso, movimenti captati da telecamere stradali. La tesi del “dilettantismo organizzato” non esclude che ricettatori di livello possano essere subentrati dopo il colpo. La realtà, ad oggi, è che le otto opere mancano all’appello.

Cosa è sparito: otto emblemi di potere e identità dinastica

Dalle ricostruzioni finora disponibili, l’elenco degli oggetti trafugati comprende alcuni dei simboli più iconici del XIX secolo francese:

  • Una collana di smeraldi e diamanti donata da Napoleone I a Maria Luisa.
  • Il diadema di Eugenia, punteggiato da quasi 2.000 diamanti e 212 perle.
  • Altri sei pezzi, fra cui orecchini, spille e parure legate alle figure di Maria Amalia e Ortensia di Beauharnais.

Oltre al valore assicurativo — 88 milioni di euro — è incalcolabile la perdita in termini di memoria storica e identità nazionale. La Galerie d’Apollon, teatro del furto, è uno spazio-mito: la vetrina del lusso di Stato, ma anche un laboratorio dell’idea di “monumento” come racconto pubblico.

Perché i gioielli non si trovano

A oltre un mese dal colpo, l’assenza di ritrovamenti spinge gli esperti a due ipotesi principali:

  • I pezzi sono stati smontati o alterati per renderli irriconoscibili (il che ne abbatte drasticamente il valore culturale ma ne preserva quello materiale).
  • Sono nascosti in depositi o caveau in attesa che si abbassi la pressione mediatica e investigativa, per poi tentare la vendita frazionata sul mercato nero internazionale.

La seconda ipotesi resta plausibile perché certi elementi — l’uso di più veicoli predisposti, la capacità di sfruttare un punto cieco della sorveglianza, la velocità con cui gli oggetti sono spariti dai radar — richiamano un minimo di organizzazione a monte e una filiera pronta a intervenire subito dopo il furto. Tuttavia, l’abbondanza di tracce forensi ritrovate e alcune scelte goffe dei rapinatori (la fuga su scooter con materiale ingombrante, una corona persa lungo il percorso) mantengono aperta la lettura “semiprofessionale”.

La controffensiva del Louvre: tecnologia, audit, protocolli

Nell’immediato, il Louvre ha avviato:

  • Un audit interno sui protocolli di allerta e sulla catena di comando in sala controllo.
  • L’aggiornamento del sistema di videosorveglianza con copertura esterna estesa e sensori anti-intrusione sulle superfici più esposte.
  • La revisione dei piani di evacuazione e del contingentamento dei flussi in aree “gioiello” come la Galerie d’Apollon.

Nel breve periodo la galleria è rimasta chiusa al pubblico, mentre il resto del museo ha riaperto pochi giorni dopo l’episodio. La direzione ha ribadito l’impegno a conciliare accessibilità e sicurezza, tema cruciale in un’istituzione che accoglie milioni di visitatori l’anno.

Lezioni da un furto annunciato

Il colpo del 19 ottobre non nasce nel vuoto. In tutta Europa le grandi istituzioni culturali affrontano la pressione di minacce ibride: criminalità opportunistica che sfrutta punti ciechi tecnologici e routine prevedibili del personale. Tre lezioni emergono con forza:

  • Ridurre i tempi di reazione: dall’intrusione all’allarme operativo devono passare secondi, non minuti. Un “corridoio d’azione” di quattro minuti, in un luogo come il Louvre, è un lusso che i ladri non dovrebbero potersi permettere.
  • Investire in intelligence preventiva: non solo telecamere migliori, ma analisi dei pattern di rischio, con IA e data fusion tra sensori, senza sottovalutare le banali verifiche su veicoli e mezzi che sostano in aree sensibili.
  • Rafforzare la resilienza post-evento: protocolli per mettere in sicurezza collezioni “gemelle” (pezzi simili o complementari), cooperazione tempestiva con Interpol e banche dati dei beni rubati, fino all’impiego di marcatori forensi o microtag invisibili.

Le prossime mosse della Procura

Con i presunti esecutori in custodia cautelare e una costellazione di fiancheggiatori sotto lente, il lavoro della Procura di Parigi è ora duplice:

  • Ricostruire con esattezza la catena di comando: chi ha ideato il colpo? Esiste un mandante o un ricettatore che ha commissionato l’operazione mirando a specifici pezzi?
  • Ritrovare i gioielli: ogni giorno che passa aumenta il rischio di smontaggio e reimmissione dei materiali (pietre e metalli) in circuiti clandestini dell’oreficeria e della gioielleria internazionale.

Gli investigatori hanno già raccolto decine di reperti tra impronte e DNA, passato al setaccio ore di CCTV lungo la fuga e analizzato la logistica (dal camion elevatore agli scooter). Se il “quarto uomo” confermerà la sua identità e parlerà, potrebbe emergere la topografia completa dell’operazione: sopralluoghi, “finestre” orarie, fornitori degli utensili da taglio e la rete di appoggi per lo stoccaggio iniziale dei beni.

Domande aperte (e perché contano)

  • È esistita una soffiata interna? Finora le autorità non hanno riscontrato prove di complicità tra il personale del museo. Ma la scelta del punto cieco e l’uso di un montacarichi suggeriscono una conoscenza almeno indiretta dei limiti del sistema.
  • I fermati “di contorno” sono semplici agganci di quartiere o l’anello di una filiera capace di piazzare pietre di questa natura? La risposta dirà molto sulla sopravvivenza o meno dei pezzi come oggetti storici.
  • Quale sarà l’impatto sul modello Louvre? Il museo deve restare aperto e vivace o trasformarsi in una fortezza? La sfida, per Stato e istituzioni culturali, è non sacrificare l’idea stessa di museo democratico sull’altare della sicurezza.

Un epilogo ancora da scrivere

Il fermo del “quarto uomo” dà all’indagine un contorno più definito, ma non chiude il caso. Finché gli otto gioielli non torneranno in vetrina — o almeno non se ne chiarirà il destino — il Louvre continuerà a fare i conti con le sue ombre: i ritardi tecnologici, la catena di comando da ridisegnare, l’impatto reputazionale di un furto che ha fatto il giro del mondo in streaming, spingendo i visitatori a fotografare, quasi fosse una nuova attrazione, la finestra infranta e il vuoto delle teche. Resta una certezza: questa vicenda ha reso visibile a tutti quanto fragile possa essere, persino nel cuore dell’arte europea, l’equilibrio tra bellezza e protezione. E ha ricordato che, nel linguaggio del crimine museale, i minuti contano più dei milioni.