SCENARI INTERNAZIONALI
Ungheria a Mosca, l’energia come moneta diplomatica: Orbán chiede più petrolio e gas a Putin
Un viaggio al Cremlino che sfida il fronte europeo sull’energia russa, forte di una deroga americana: tra pipeline, sanzioni e il dilemma di Budapest entro il 2027
Una porta che si chiude, un’altra che si spalanca. Mentre a Bruxelles si scrive il calendario dello “stop” ai combustibili russi entro il 2027, a Mosca una porta si riapre: quella del Cremlino. Nella sala dalle luci color ambra, il premier ungherese Viktor Orbán stringe la mano a Vladimir Putin. Sul tavolo non c’è solo la guerra in Ucraina, ma soprattutto la voce che più pesa ogni inverno sul bilancio di ogni famiglia ungherese: il prezzo dell’energia. Orbán è arrivato con un vantaggio negoziale inedito per un leader UE: un’esenzione concessa dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che consente a Budapest di continuare a comprare petrolio e gas da Lukoil e Rosneft nonostante le nuove sanzioni americane. È la miccia che riaccende una dinamica scomoda per l’Unione: un Paese membro che, nel pieno del disaccoppiamento energetico da Mosca, chiede a Mosca di vendergli ancora di più.
La mossa di Budapest: più idrocarburi russi, subito
A differenza di quasi tutti gli altri partner europei, l’Ungheria ha mantenuto – e in alcuni momenti perfino aumentato – i volumi di import di combustibili fossili russi. Nel 2024, secondo stime citate da Reuters, circa il 74% del gas e l’86% del petrolio consumati nel Paese provenivano dalla Russia; numeri che fotografano una dipendenza strutturale, non contingente. È con questa realtà che Orbán si è presentato al Cremlino: “la base dell’approvvigionamento energetico ungherese è e resterà l’energia russa”, ha detto davanti a Putin. Nel colloquio, l’obiettivo dichiarato è stato assicurarsi “nuove forniture di petrolio e gas” per l’inverno e l’anno successivo, sfruttando l’ombrello della deroga statunitense.
La deroga americana: cosa consente, cosa no
La cornice che rende possibile questo scarto rispetto alla linea occidentale è l’esenzione concessa dalla Casa Bianca guidata da Donald Trump alle sanzioni statunitensi su Lukoil e Rosneft. Per Euronews e AP, la misura permette a Budapest di continuare gli acquisti di greggio e gas da controparti russe senza incorrere nelle nuove restrizioni. Resta un punto aperto sul “quando” e sul “quanto”: mentre Budapest ha parlato di esenzione “a tempo indeterminato”, un funzionario americano – riferisce Reuters – ha puntualizzato che la validità sarebbe di un anno. In parallelo, l’Ungheria ha promesso di diversificare almeno in parte: acquisto di GNL statunitense per circa 600 milioni di dollari e collaborazione sul nucleare civile con un attore americano, segnale che Budapest non intende bruciare ponti con Washington. È un equilibrio sottile: comprare dalla Russia grazie a un salvacondotto USA, mentre si sottoscrivono contratti con fornitori occidentali per dimostrare che la diversificazione non è un tabù.
Le regole europee: l’uscita dai fossili russi entro il 2027
Sul lato europeo, la traiettoria è tracciata. Con il pacchetto REPowerEU, la Commissione europea ha proposto di eliminare gradualmente le importazioni di gas e petrolio russi fino ad azzerarle entro la fine del 2027. La road map prevede lo stop ai nuovi contratti di gas russo dal 1º gennaio 2026, la chiusura dei contratti a breve entro metà 2026, e la fine dei contratti a lungo termine entro fine 2027. Per il petrolio, restano in vigore le esenzioni sul greggio via oleodotto per gli Stati più dipendenti e senza sbocchi al mare — deroga che ha permesso fin qui a Ungheria e Slovacchia di continuare a ricevere barili tramite la pipeline sovietica Druzhba. Nel 2025, le importazioni di petrolio russo dell’UE sono scese “sotto il 3%”, mentre il gas russo resta stimato al 13% dell’import europeo, con una spesa superiore a 15 miliardi di euro l’anno: numeri che mostrano i progressi, ma anche la coda lunga delle dipendenze.
Budapest contro Bruxelles: la sfida (anche legale) al piano europeo
La posizione ungherese non è solo politica: è anche giuridica. Budapest ha annunciato l’intenzione di impugnare in sede giudiziaria il progetto UE per l’eliminazione graduale dei flussi energetici russi, sostenendo che le nuove regole compromettano la sicurezza energetica nazionale e violino margini di sovranità. La contestazione arriva mentre, per Euronews, l’UE ribadisce il termine del 2027 e chiede a ogni Stato di presentare un piano nazionale per uscire da gas, petrolio e — novità sensibile per l’Ungheria — anche materiali nucleari di origine russa. È un braccio di ferro che incrocia tribunali, commissariati energia e sale riunioni del Consiglio e del Parlamento europeo, dove si negozia il testo finale del regolamento.
Il mosaico delle pipeline: Druzhba e TurkStream
Se il petrolio è la linfa di Druzhba (“amicizia” in russo), il gas scorre soprattutto da sud. Con l’accordo Gazprom–MVM del 2021, Budapest ha firmato contratti di 15 anni per fino a 4,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, reindirizzando i flussi via TurkStream e le reti dei Balcani. La scelta ha reso l’Ungheria molto meno esposta ai transiti via Ucraina, tanto che a fine 2024 Budapest dichiarava di potersi rifornire anche in caso di stop al corridoio ucraino. Sul fronte petrolifero, invece, il ramo meridionale di Druzhba resta la rotta principale per il greggio Urals destinato alle raffinerie di MOL in Ungheria e Slovacchia: i flussi sono stati più volte interrotti o ridotti nel 2025, ma sono ripartiti dopo gli attacchi e i danni al sistema di pompaggio in Russia, confermando la fragilità fisica delle rotte. Alternative? L’oleodotto Adria dalla Croazia aiuta, ma a capacità limitata: sufficiente a tamponare, non sempre a sostituire integralmente.
Le promesse di diversificazione: Engie, Shell e GNL
Per argomentare che la dipendenza dalla Russia non è “scelta ideologica”, ma “calcolo di sicurezza”, Budapest ha iniziato a firmare contratti-ponte con fornitori occidentali. Nel 2025 MVM ha siglato con Engie un’intesa per 400 milioni di metri cubi annui tra il 2028 e il 2038 — circa il 5% dei consumi ungheresi — e un accordo con Shell da 200 milioni di metri cubi l’anno dal 2026. Numeri utili per ridurre il rischio, ma non per sostituire il cuore dei volumi: l’ossatura resta il gas russo a lungo termine. È il paradosso operativo dell’energia: i contratti che “diversificano” spesso iniziano fra due o tre anni, mentre i bisogni di un inverno si misurano in settimane.
La posta in gioco per Washington: sanzioni, deroga e realpolitik
Per gli Stati Uniti, concedere una finestra di esenzione a Budapest ha un costo politico evidente — perché appare come un indebolimento della campagna di pressione su Mosca — ma risponde a due logiche. La prima è geopolitica: tenere ancorata l’Ungheria al campo occidentale, evitando che le tensioni su Ucraina e energia si traducano in un allontanamento strutturale. La seconda è commerciale-strategica: spingere MVM a comprare GNL americano e ad aprire al combustibile nucleare USA per il parco reattori. Nelle parole riportate dalla stampa americana, Trump ha anche incoraggiato un ruolo di Budapest come sede di eventuali contatti Russia–USA, segnale di una diplomazia energetico-politica intrecciata. Resta sullo sfondo il punto più controverso: l’esenzione sarebbe, secondo la Casa Bianca, di un anno — non “indefinita” — imponendo a Budapest di ricalibrare la propria strategia già nel 2026.
L’effetto Bruxelles: il divieto sul petrolio via mare e l’eccezione degli oleodotti
Sul petrolio, la UE ha vietato dal 5 dicembre 2022 gli acquisti via mare di greggio russo e dal 5 febbraio 2023 quelli di prodotti raffinati, lasciando una deroga temporanea per il greggio via oleodotto agli Stati senza sbocco al mare o con dipendenze particolari. La ratio è chiara: evitare shock immediati nei Paesi più vulnerabili, offrendo tempo per costruire alternative (infrastrutture e contratti). Per Ungheria e Slovacchia, spiega il Consiglio UE, la deroga è rimasta in piedi; per Germania, Polonia e poi Cechia è venuta meno una volta attivate rotte sostitutive. La cornice europea, insomma, consente oggi ciò che chiede a tutti di impedire domani: una transizione graduale, non un taglio netto.