la storia
Bimbo tolto alla madre, è in punto di morte ma non glielo fanno vedere
I sintomi del tumore al cervello scambiati per "malessere psicosomatico". Il Garante dell'infanzia chiede accertamenti. Differenza Donna ha parlato di un «esito disumano»
Un tumore ignorato per mesi, due allontanamenti forzati e una madre tenuta distante dal figlio morente: una vicenda che scuote istituzioni e opinione pubblica. Una vicenda ingarbugliata complessa di cui è difficile capire le ragioni ma che certamente sta provocando un grave, terribile, disagio a un bambino che lotta per la vita e che non può vedere sua madre. Una vicenda che pone tante, troppe domande su come avvengano certe scelte e se non fosse stato possibile compierne di diverse soprattutto se ancora non si conosce la verità.
Una vicenda terribile, una tragedia, che merita tutta l'attenzione possibile. Qualunque sia la verità, ovunque siano le colpe è disumano che un bimbo morente e sua madre non possano vedersi. Chi protegge i bambini in questo Paese?
La storia del piccolo Marco, nove anni, ricoverato in un ospedale veneto in condizioni gravissime per un tumore cerebrale al quarto stadio, continua a sollevare interrogativi inquietanti e grande indignazione. Dalle informazioni che sono finora emerse, sono stati calpestati i più elementari diritti, del bambino e della madre. A partire dal diritto alla salute di un bambino al quale non viene riconosciuto un tumore ma un malessere psicosomatico.
La madre non può vederlo, nonostante la malattia terminale, a causa dei provvedimenti giudiziari che negli ultimi anni hanno portato a due allontanamenti forzati dei figli. Un intreccio di valutazioni controverse, ritardi medici e decisioni istituzionali che ora il Garante dell’infanzia chiede di ricostruire con urgenza. Differenza Donna ha parlato di un «esito disumano», denunciando «decisioni fondate sulla pseudo-diagnosi di alienazione parentale».
Per mesi, ha ricordato l'associazione, i segnali del peggioramento del bambino come «vomito, cefalee, svenimenti, alterazioni visive», sarebbero stati letti da servizi sociali e operatori come manifestazioni del malessere del bambino per la lontananza dalla madre, mentre il tumore progrediva senza che venissero disposti accertamenti adeguati.
Una storia terribile, incomprensibile, assurda se non ci fosse in gioco la vita di un bambino innocente, in cui nessuno sembra preoccuparsi dei sintomi di un bambino rivolgendosi a medici, a specialisti. Una storia paradossale, confusa, aggrovigliata su ambiti e competenze ben diverse.
La storia riguarda Francesca, la madre bresciana, incensurata, ritenuta «ostativa» dopo aver denunciato presunti abusi sessuali dell’ex sui figli, nonostante un documento della neuropsichiatria della Aulss3 di Venezia li avesse definiti «probabili»; i bambini sono stati prelevati due volte, con un forte impatto traumatico e, a quanto pare, consegnati al padre.
Secondo Differenza Donna, la storia è «emblematica di un sistema che non solo non ascolta le donne, ma non protegge i minori», e rivela «una catena di decisioni istituzionali disumane», con relazioni che riferivano una «perfetta integrazione» nella casa paterna «mentre il tumore cresceva».
L’associazione chiede la sospensione immediata delle misure che impediscono alla donna di vedere i figli e un’indagine sulle omissioni mediche e sulle scelte giudiziarie.
E anche la garante per l’Infanzia, Marina Terragni, è intervenuta per chiedere di «accertare se vi siano stati negligenze e ritardi nell’intervento medico, se i servizi sociali e la struttura in cui il bambino era collocato abbiano efficacemente tutelato la sua salute, e così il padre, presso il quale i minori risiedono da luglio 2025, e se l’iter giudiziario presenti eventuali irregolarità».
Terragni ha ricordato che il piccolo fu sottratto una prima volta nel 2022 «con un massiccio intervento di forze dell’ordine e addirittura dei pompieri», e una seconda nel 2024. Da quel momento, ha osservato, gli episodi di malessere «sarebbero stati attribuiti al trauma da separazione e considerati di natura psicosomatica». "Attribuiti" non da medici, perché non è chiaro quando si sia deciso di rivolgersi ai medici per capire questi malesseri così forti e continui.
E la diagnosi, arrivata soltanto nell’ottobre 2025, ha imposto un intervento chirurgico dopo il quale il bimbo «risulterebbe parzialmente invalido». Una tragedia per il piccolo, per la madre, per la famiglia. Per la Garante è ora necessario non solo verificare eventuali «negligenze», ma soprattutto «consentire alla madre di fargli visita».