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Riparte la "guerra del petrolio": ecco le nazioni coinvolte e i possibili effetti a livello globale

Petrolio, potere e sanzioni: il blocco Usa al Venezuela, le ripercussioni sui mercati e la sfida della transizione energetica

Redazione La Sicilia

18 Dicembre 2025, 07:08

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Il petrolio è molto più di una risorsa energetica: è un simbolo di potere, un’arma silenziosa che ha condizionato la politica mondiale per oltre un secolo. Ogni volta che il greggio diventa terreno di scontro, le conseguenze si ripercuotono ben oltre i confini dei Paesi produttori, arrivando a scuotere i mercati globali e la vita quotidiana delle persone.

Oggi, il Venezuela è al centro di una nuova fase di questa lunga guerra. L’amministrazione Trump ha imposto un blocco totale alle petroliere venezuelane, con l’obiettivo dichiarato di strangolare economicamente il regime di Nicolás Maduro e favorire un cambio di governo. La Casa Bianca, secondo indiscrezioni, avrebbe persino sondato le compagnie petrolifere americane per capire se fossero pronte a tornare a investire nel Paese una volta che Maduro non fosse più al potere. La risposta, però, è stata negativa: nessuno sembra disposto a rischiare in un contesto così instabile.

Maduro, dal canto suo, ha reagito con la forza della retorica bolivariana. Durante le celebrazioni per l’anniversario della morte di Simón Bolívar, ha invocato l’unità con la Colombia e ribadito che «il petrolio appartiene al popolo venezuelano». Per il leader chavista, il greggio non è solo una fonte di ricchezza, ma un baluardo di sovranità contro l’“impero” statunitense. È un discorso che richiama alla memoria le grandi battaglie del passato, quando il petrolio è stato usato come arma geopolitica per difendere interessi nazionali o per piegare avversari.

Non è la prima volta che il mondo assiste a una simile dinamica. Nel 1973, l’OPEC decise di ridurre la produzione e aumentare i prezzi in risposta al sostegno occidentale a Israele durante la guerra del Kippur. In pochi mesi, il prezzo del greggio triplicò, provocando una crisi globale: in Europa si introdussero le domeniche a piedi, negli Stati Uniti si formarono lunghe code alle stazioni di servizio, e l’economia mondiale entrò in recessione. Fu la dimostrazione che il petrolio poteva essere usato come arma politica, capace di mettere in ginocchio intere nazioni senza sparare un colpo.

Qualche decennio più tardi, nel 1990, la guerra del Golfo riportò il petrolio al centro della scena. L’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein minacciava di alterare gli equilibri energetici mondiali, e gli Stati Uniti guidarono una coalizione internazionale per respingere l’Iraq. Non si trattava solo di difendere un piccolo Stato del Golfo: era in gioco il controllo di una delle più grandi riserve di greggio del pianeta. Anche nel 2003, con la seconda guerra del Golfo, il petrolio fu uno degli obiettivi strategici, sebbene ufficialmente l’intervento fosse giustificato dalla presenza di armi di distruzione di massa.

Questi episodi mostrano come il petrolio sia stato, e continui a essere, una leva di potere globale. Ogni volta che un Paese produttore entra in conflitto con una grande potenza, il mercato reagisce con oscillazioni violente, e gli effetti si propagano fino ai consumatori. Il prezzo della benzina, il costo dei trasporti, l’inflazione: tutto dipende da quel flusso di barili che attraversa oceani e continenti.

Il caso Venezuela–USA si inserisce perfettamente in questa tradizione. Da un lato, Washington cerca di ridisegnare gli equilibri energetici dell’emisfero occidentale, isolando Caracas e aprendo la strada a un futuro post‑Maduro. Dall’altro, Maduro brandisce la memoria di Bolívar e la sovranità nazionale come scudo contro l’ingerenza esterna. È una guerra che non si combatte con le armi tradizionali, ma con sanzioni, blocchi navali e strategie di approvvigionamento. Una guerra del petrolio che, pur non versando sangue, lascia cicatrici profonde nell’economia globale.

Guardando al passato, la lezione è chiara: finché il mondo resterà dipendente dal petrolio, ogni crisi geopolitica avrà il potere di destabilizzare mercati e società. La vera sfida del XXI secolo sarà ridurre questa dipendenza, accelerando la transizione verso energie rinnovabili. Solo così il petrolio potrà smettere di essere un’arma e tornare a essere semplicemente una risorsa.