il dibattito
Comuni sciolti per mafia, Sallemi traccia la linea «Così cambierà la legge»
Il senatore di Fdi ha annunciato un ddl: «Serve il “condizionamento consapevole” e non soltanto indizi vaghi su infiltrazioni»
Lo choc dello scioglimento per mafia del Comune di Paternò è solo l’ultimo clamoroso episodio. In passato – tra le decine e decine di amministrazioni azzerate per decreto del ministero dell’Interno – era toccato anche a Vittoria e Scicli. Una vicenda che sta animando un dibattito sulla necessità di rivedere le norme che regolano un passaggio delicatissimo. E nel dibattito è intervenuto il senatore di FdI Salvo Sallemi, presidente del Comitato sulle infiltrazioni mafiose nelle istituzioni territoriali della Commissione Antimafia, che ha annunciato una proposta di legge («entro i primi mesi del 2026») per «correggere una legge obsoleta».
«Serve – ha spiegato Sallemi – un equilibrio tra antimafia dura e garanzie democratiche: troppi casi di ingiustizie hanno devastato comunità innocenti». Si tratta di un tema sul quale Sallemi è particolarmente sensibile essendo lui il capogruppo della maggioranza a Vittoria quando, nel 2018, il Comune fu sciolto per mafia. A Vittoria, l’esperienza amministrativa del sindaco Giovanni Moscato – un «galantuomo» secondo Sallemi – fu interrotta dopo soli 18 mesi da un commissariamento durato quasi tre anni. «Poi - ha spiegato il senatore - Moscato fu assolto perché il fatto non sussiste. Moscato non aveva legami con la mafia. Stessa sorte per il predecessore Giuseppe Nicosia. Vite distrutte, immagine della comunità offesa, giovani amministratori demotivati. Analogo dramma a Scicli, in provincia di Ragusa - ha raccontato ancora Sallemi - dove il sindaco Susino fu prosciolto dopo uno scioglimento “perfido e ingiustificato”. Questi episodi dimostrano come la norma del 1991, priva di contraddittorio e con troppa discrezionalità prefettizia, rischi di colpire innocenti nella logica distorta della “prevenzione”».
Del resto dal 1991 sono oltre 400 i Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, concentrati in Campania, Calabria, Sicilia e Puglia e si tratta di comuni in tre casi su quattro con meno di 20mila abitanti.
«Perché non si applica a grandi centri come Roma Capitale, nonostante gli indizi?» si è chiesto Sallemi, citando anche 71 enti con reiterati scoglimenti, come Marano di Napoli (1991, 2004, 2016, 2021) o casi campani con oltre 12 anni di commissariamento.
Sallemi ricorda anche che la relazione della Commissione antimafia regionale della Sicilia del 2020 – che era presieduta da Claudio Fava – su Scicli, Siculiana e Racalmuto denunciava «scioglimenti partiti da indagini concluse con assoluzioni, forse per rimuovere ostacoli a interessi privati nei rifiuti».
«Durissimi contro la mafia vera, ma fermi contro abusi – ha avvertito Sallemi – lo scioglimento deve colpire organi infiltrati, non intere comunità». Sallemi nella proposta di modifica della legge in via di definizione propone alcuni correttivi come l’introduzione del contraddittorio per amministratori, la trasparenza nelle relazioni prefettizie al Consiglio dei Ministri. «Non può essere – ha spiegato Sallemi – una sanzione penale, ma deve essere una prevenzione ragionata perché serve, come indicato dal Consiglio di Stato, la “prova di condizionamento mafioso consapevole”, non indizi vaghi».