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la manovra

Ponte, «riprogrammati» 3,5 miliardi: il governo li userà per coprire il buco degli incentivi

Nel pacchetto di modifiche al Senato c'è l'uso dei fondi in emergenza per finanziare il boom di istanze delle imprese per Transizione 4.0 e 5.0 e per il credito d’imposta Zes

16 Dicembre 2025, 06:00

Salvini e Ponte sullo Stretto

Salvini e il Ponte

«Pronto. Parlo con Matteo Salvini?». «No, sono Antonio Nicita». La battuta è d’obbligo al senatore siciliano del Pd che ha vinto la sua battaglia contro il Ponte sullo Stretto e che ieri sera ha festeggiato con un piatto di carbonara. Il suo emendamento alla Manovra - che, prendendo spunto dal «no» della Corte dei conti che farà ritardare l’avvio dei cantieri di parecchi mesi, chiedeva di definanziare 5 miliardi all’opera voluta dal ministro dei Trasporti per destinarli a infrastrutture in Sicilia e Calabria - era stato dichiarato ammissibile dalla commissione Bilancio di Palazzo Madama. E ieri mattina il governo è stato costretto, nella riscrittura della Manovra i cui dettagli esatti si conosceranno questa mattina, a riprogrammare, spostandoli in avanti proprio a causa del ritardo nell’avvio dei lavori, 3,5 miliardi degli anni 2024-2025 stanziati per il Ponte e usarli per fare fronte a due emergenze. Anzitutto l’enorme esubero di istanze presentate dalle imprese per gli incentivi di Transizione 4.0 e 5.0 rispetto ai fondi che si erano già esauriti a fine novembre e che il governo si era impegnato a finanziare in altro modo. Ma a questa massa di aziende deluse si è aggiunta quella degli imprenditori che, fidandosi delle promesse, hanno fatto le corse e in meno di un anno hanno completato investimenti confidando nel credito d’imposta Zes e che ora, per insufficienza di fondi, si sono visti cancellare buona parte del loro credito.

Che per le due Transizioni ci volessero circa due miliardi era chiaro e non era chiaro il tentativo del governo di spostare tutto sul nuovo iperammortamento previsto dalla Manovra 2026 oppure quello di ricorrere ai fondi della Coesione. Come se non bastasse, tre giorni fa si è presentato un nuovo «buco» di 1,5 miliardi sul credito d’imposta Zes. Infatti, nella notte tra venerdì e sabato il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Vincenzo Carbone, probabilmente senza riferirlo prima al governo (esattamente come nel 2024 aveva fatto il suo predecessore Ernesto Maria Ruffini), nel provvedimento pubblicato ha dichiarato che, rispetto al budget stanziato di 2,2 miliardi per il 2025, sono state ammesse ben 10.677 richieste per 3,6 miliardi di credito su investimenti effettuati pari a oltre 6 miliardi. Un boom, se si considera che nel 2024 avevano superato l’esame 7.029 progetti per 5,2 miliardi investiti ottenendo un credito d’imposta di 2,5 miliardi. In Sicilia c’è stato un quasi raddoppio: si è passati da 1.582 società che nel 2024 avevano investito 1 miliardo e 87 milioni ( 570 milioni il credito ottenuto) a 2.353 imprese che quest’anno hanno completato investimenti da oltre 1,5 miliardi ottenendo il diritto ad uno sconto fiscale di 837 milioni.

Un «salto» che dimostra come lo strumento Zes funzioni e abbia attratto fiducia. Ma ora questa fiducia rischia di frantumarsi. Infatti, Carbone ha preso il totale del credito richiesto, lo ha diviso per le pratiche ammesse, decidendo salomonicamente che la percentuale spettante non è più il 100% promesso sul 60% di spesa, ma il 60,3811%. Ne consegue che alle piccole imprese spetterebbe il 36,2%, alle medie il 30,1% e alle grandi il 24,15%. Resta il 100% solo per il settore pesca e acquacoltura, mentre scende al 18,48% per le grandi imprese agricole e al 15,25% per micro, piccole e medie imprese agricole e forestali. Immediata la rivolta del mondo produttivo, dalla Cna all’Aidda, e il tentativo del governo di rimediare in extremis. Oggi è attesa la conferma.r