L'inchiesta
Costringevano gli stranieri a lavorare per 14 ore al giorno e con una paga di 2 euro l'ora: il blitz della Polizia e l'arresto di tre "schiavisti"
In manette un italiano e due marocchini: contestato anche il maltrattamento di animali
«La nuova schiavitù, ma con metodi medievali», così il procuratore di Catania, Francesco Curcio ha aperto la conferenza stampa per illustrare i dettagli dell’operazione scattata stanotte sulla tratta di esseri umani e sfruttamento del lavoro.
Un’indagine che ha fatto luce su una raccapricciante vicenda di caporalato che aveva il suo teatro in una fattoria di Ramacca, nel Calatino.
I poliziotti della squadra mobile di Catania e del Commissariato di Caltagirone, hanno arrestato tre persone Santo Giammello, 54 anni, Hamid Kouam, 52 anni (marocchino) e Abderrahim Chaibi, 56 anni (marocchino).
«I risultati investigativi sono arrivati grazie alla collaborazione con le associazioni anti-tratta», ha detto il questore di Catania, Giuseppe Bellassai.
IL PROCURATORE CURCIO: «COME NEL MEDIOEVO»
Dall’ascolto di alcune delle vittime di tratta, di origini marocchine, si è aperto uno squarcio inquietante. Dal racconto è emerso che Kouam avrebbe sfruttato lo stato di necessità di uno straniero (un vero e proprio reclutamento) promettendogli allettanti promesse di lavoro. Il migrante è arrivato a trasferirsi dalla Francia alla fattoria di Ramacca. Il fattore Giammello sottoponeva il lavoratore a sfruttamento con uno stipendio da fame. E, inoltre, il dipendente era costretto a vivere in mezzo ai topi. «Abbiamo trovato nell’alloggio delle trappole per ratti», ha specificato Emanuele Fattori, dirigente della Squadra Mobile di Catania. Inoltre per lavarsi utilizzavano un contenitore di raccolta idrica. Il migrante lavorava per 14 ore al giorno per un salario di 550 euro al mese, poi diventati 650 e poi 800. La media oraria era poco più di un euro. La normativa prevede una media invece di 8,9 euro all’ora.
Gli investigatori hanno scoperto un episodio terrificante. Giammello, per evitare che il lavoratore potesse andare in ospedale dopo un ascesso al collo, aveva praticato un foro sull’escrescenza cutanea con un ago preventivamente riscaldato con la supervisione di Kouam.

Da quello che è emerso dall’inchiesta Chaibi avrebbe avuto il ruolo di intermediario nell’azienda agricola. L’indagato si sarebbe occupato di gestire i lavoratori con il conseguente disbrigo delle pratiche. Inoltre, avrebbe svolto le mansioni di “guardiano”: Chaibi avrebbe dovuto impedire che i lavoratori abbandonassero il posto di lavoro, nonostante fosse consapevole delle condizioni degradanti di lavoro.
Ai tre indagati è contestata l’aggravante di aver commesso il fatto nei confronti di oltre tre vittime. Solo al fattore Giammello l’aggravante di violenza e minaccia indiretta. L’imprenditore agricolo avrebbe fatto assistere al lavoratore all’abbattimento di alcuni cani tramite l’esplosione di colpi di pistola. La colpa degli animali era quella di non aver obbedito al padrone. Una delle vittime ha raccontato che Giammello avrebbe persino trascinato un cane, ferito e agonizzante, legandolo con una corda alla sua auto.
Gli investigatori hanno al momento individuato due vittime di tratta e riduzione in schiavitù, ma per Curcio le persone sfruttate sarebbero state molte di più. «C’era sempre un ricambio di manovalanza», ha detto il procuratore.